Amina | Veronica Granatiero |
Elvino | Marco Ciaponi |
Il conte Rodolfo | Alessandro Spina |
Lisa | Maria Sardaryan |
Teresa | Isabel De Paoli |
Alessio | Giovanni Toia |
Un notaro | Anzor Pilia |
Direttore | Alessandro D’Agostini |
Regia e scene | Cristian Taraborrelli |
Costumi | Angela Buscemi |
Videomaker | Fabio Massimo Iaquone |
Maestro del coro | Davide Dellisanti |
Orchestra Sinfonica Rossini | |
Coro Lirico Marchigiano "V. Bellini" |
In più di un’intervista Gianandrea Gavazzeni ha definito La sonnambula l’opera più difficile fra quelle di repertorio, perché espressione massima del cosidetto “finto facile in musica”, vale a dire di quelle composizioni accattivanti per il grande pubblico perché immediatamente orecchiabili e basate su vicende romantiche e suggestive, che l’uditore considerava appunto facili da realizzare, ma che in realtà sembravano tali solo quando era tutto in ordine. E in effetti se non si riesce a trovare il giusto equilibrio si corre il rischio di ascoltare le sublimi melodie belliniane liquefarsi in una pappa sonora dove la noia può essere ben più che in agguato. Nella produzione delle Muse-Corelli che qui si recensisce, inoltre, cantanti e direttore d’orchestra erano al debutto nei rispettivi ruoli, elemento che sulla carta poteva suscitare ulteriori dubbi. Per non parlare del sempre spinoso argomento della regia, dato che nella Sonnambula l’ambientazione alpestre è legata a doppio filo non solo con le atmosfere orchestrali ma soprattutto con la plausibilità di una trama sempre al confine fra la favola e l’incredulità.
Da quanto abbiamo visto e sentito nella replica domenicale di questo allestimento, penso si possa dire che esso rappresenti uno dei maggiori risultati artistici del teatro negli ultimi anni, e sommato alla buona Traviata di settembre, non può che rendere lieti e speranzosi per un futuro che fino a qualche anno fa sembrava molto nebuloso.
La regia, si diceva: montagne, foreste e costumi tipici dell’ambientazione librettistica sono puntualmente presenti all’appello, ma rifuggendo qualsiasi sospetto di bozzettismo e nell’ottica non di riempire lo spazio scenico bensì di disegnarlo. L’apertura vede così i contadini impegnati in una danza propiziatoria per le nozze intorno al Palo di Maggio, antichissima tradizione nordeuropea per invocare prosperità e fertilità: arriva Amina col velo nuziale, e durante l’esecuzione di Sovra il sen alcuni dei contadini la circondano con degli specchi che ne moltiplicano la figura sorridente e felice, a rendere visivamente la gioia che esprime con il canto. L’espressione visiva dei sentimenti dei personaggi sarà una costante della lettura di Cristian Taraborrelli, autore anche delle scene limitate a curati elementi di arredo per il librettistico albergo di Lisa, soprattutto per mezzo delle videoproiezioni di Fabio Massimo Iaquone. Altro spinoso argomento delle regie cosidette “moderne”, quello delle videoproiezioni, oggetto degli strali dei melomani più incalliti che le vedono come le rovina della gloriosa tradizione fatta di tele dipinte e/o sontuose scenografie. Quindi cosa abbiamo visto in questa produzione? Montagne e foreste riprese con tecniche d’avanguardia ed effetti quasi tridimensionali, che si fondevano con dei veri propri minifilm con i volti dei cantanti in primo piano a rendere gioia, dolore, turbamento, disperazione in perfetta sintonia col momento scenico. Durante l’esecuzione di Son geloso del zeffiro errante, ad esempio, il retrostante boschetto trasfigurava nel volto di Amina sognante ed appassionato, e lo stesso volto assumeva i tratti del tristo dolore durante la perorazione di Elvino Tutto è sciolto. E non si tratta solo di bellezza fisica, che certo non difetta a Veronica Granatiero, quanto di espressività dei sentimenti che una mano registica esperta e consapevole sa tirare fuori. Scena, per inciso, che con il solo uso delle luci e un manto di neve distribuita a piccoli cumuli davanti la videoproiezione del boschetto aveva una spazialità di bellissimo impatto visivo (disegnare il palcoscenico, per l’appunto).
Poeticissimo poi il finale, con Amina che avanza lentamente al proscenio tendendo una corda che sembra spezzarsi sulle parole Trema…vacilla…ahimè!... salvo poi ritirarsi indietro: semplice quanto efficace metafora visiva del pericolo incombente per la mente, prima ancora che per il corpo.
L’intera compagnia si è mostrata un ensemble di cantanti-attori il cui impegno è stato determinante per la buonissima riuscita dell’allestimento, con un sapiente bilanciamento delle timbriche vocali e un’accorta gestione dei pur dolorosi tagli che però in questo caso sono sembrati funzionali alla massima valorizzazione delle qualità dei singoli (un po’ meno, a vero dire, quelli di Ah vorrei trovar parole e del finale primo). Veronica Granatiero, infatti, non ha le sue armi migliori nelle agilità e nel registro sovracuto, abbastanza fluide ma non certo pirotecniche le prime e un po’ tirato il secondo; ma il bellissimo colore di voce unito a una sentita espressività riassorbono di fatto tutti gli altri limiti, meno evidenti per i tradizionali accorciamenti di Sovra il sen.
Colpisce soprattutto la capacità di ben differenziare col fraseggio i sentimenti di un personaggio sempre sul crinale di una genuina trasparenza di sentimenti; dunque il tono amorosamente costernato di Elvino…E me tu lasci senza un tenero addio riesce poi a piegarsi nell’afflato ipnotico del primo sonnambulismo, con una accurata gestione di piani e pianissimi. Massima espressione di queste qualità è stata l’esecuzione di Ah non credea mirarti, gestita con un legato, una morbidezza d’emissione e una partecipazione emotiva difficile da ritrovare, ritengo, anche in interpreti ben più affermate. Adeguatamente speculare la gestione musicale del ruolo di Lisa, integrale nei recitativi e nelle due arie con daccapo, per permettere di evidenziarne il carattere ben più che comprimariale in un rapporto timbrico-drammaturgico anticipatore specularmente di quello di Norma e Adalgisa. Con un timbro meno privilegiato e una voce meno ricca di armonici della collega, ma con un’assoluta sicurezza in agilità e sopracuti (fino al fa naturale nella cadenza di chiusura della seconda aria) Maria Sardaryan rende benissimo il personaggio della cinica rivale amorosa, grazie anche a un’articolazione della parola ancora più lodevole per una cantante armena.
Marco Ciaponi affronta il temibile ruolo di Elvino dominando l’alta tessitura praticamente senza sforzo apparente, mostrando voce corposa e un fraseggio vario e trepidante in grado di rendere molto bene i tormenti del giovane innamorato supposto tradito. Meritata l’ovazione che lo ha accolto alla fine della cabaletta Ah perché non posso odiarti, eseguita due volte con belle variazioni e cadenza al mi bemolle sovracuto.
Alessandro Spina ha conferito bella voce, nobiltà di accenti e adeguata presenza scenica ad un Conte Rodolfo visto dalla regia come un dandy maturo ma non attempato, che riceve Lisa mentre consuma un bagno e svolge con lei una piccante scena di seduzione, in ciò trovando la giusta misura per rappresentare il saggio ma un po’ ambiguo letterato tipico dell’opera semiseria.
Molto brava anche Isabel de Paoli come Teresa materna ma per nulla senescente. Completavano onorevolmente il cast il baldanzoso Alessio di Giuseppe Toia e l’adeguato Notaio di Anzor Pilia.
Alessandro d’Agostini tiene le redini del palcoscenico con mano sicura e ottiene da una Sinfonica Rossini in buonissima forma dinamiche varie che mettono in luce le preziosità della scrittura belliniana, soprattutto per il rilievo dato agli interventi degli strumenti solisti. Una certa tendenza a “spingere” sul pedale di tempi e suono si può forse trovare in qualche finale dei vari numeri, ma la cosa non disturba più di tanto, e anzi conferisce maggiore varietà alla resa complessiva.
Molto bene l’impegnatissimo Coro Bellini preparato da Davide Dellisanti, che offre in questa occasione una prova veramente ragguardevole per precisione e varietà di canto in tutte le sue sezioni.
Successo finale per tutta la compagnia da parte del numeroso pubblico presente a teatro.
La recensione si riferisce allo spettacolo del 13 ottobre 2019.
Domenico Ciccone