Titolo | L'ultimo spartito di Rossini |
Autore | Simona Baldelli |
Editore | Piemme |
EAN | 9788856664188 |
Prezzo | 15,72 € |
Collana | Storica |
Anno edizione | 2018 |
Gioacchino Rossini (Pesaro, 1792 – Passy, 1868) non ha avuto una vita facile, e anche quando tutto andava bene trovava il modo di complicarsela. È il primo assunto che si desume dalla lettura di questo bel romanzo/biografia, molto documentato, dedicato al compositore di Pesaro nel centocinquantesimo anniversario della morte. L’autrice Simona Baldelli, narratrice, storica e donna di teatro, ci propone una prospettiva temporale non lineare, con continui spostamenti tra i periodi della vita di Rossini, tenendo come linea ferma gli ultimi giorni di vita cui si intrecciano, a spiegare e a motivare, gli anni dell’infanzia, dell’adolescenza e del successo. Appare chiaro che la lunga zona d’ombra degli anni di inattività seguiti alla composizione della sua ultima opera per il teatro, Guillaume Tell (1829), è quella che pone più interrogativi. Le malattie, vere o presunte, del corpo e della mente scandiscono il racconto con tetra regolarità. Simona Baldelli si è molto documentata per ricostruire il quadro clinico di Rossini, a partire dalle malattie veneree contratte verso i trent’anni per terminare con la descrizione cruda degli ultimi giorni di vita, delle torture cui Rossini venne sottoposto da medici incapaci o che non avevano mezzi adeguati per curare il probabile tumore al retto che lo affliggeva e che lo porterà alla tomba. I disagi fisici sono intrecciati alla depressione che lo accompagna, più o meno costantemente, per tutta la vita. All’inizio è un’ansia patologica, che neppure i successi più eclatanti potevano placare. Rossini riusciva a trovare sempre un motivo di inquietudine; anche al centro di trionfi indiscussi e di consenso pressoché unanime, si fissava su quelle poche voci fuori dal coro che lo criticavano per invidia, per supponenza o per snobismo. Sono illuminanti gli incontri con i personaggi suoi contemporanei: Byron, Stendhal, Bellini, Beethoven, Paganini, D’Azeglio, Balzac, molti arcinoti, altri più inediti, ricostruiti con spirito e aderenza storica, oltre agli appuntamenti immaginari con l’amato Wolfgang Amadeus Mozart. Personaggi con i quali intesse rapporti spesso conflittuali, ma anche di indiscussa ammirazione, come per Beethoven e Paganini, o di buon vicinato, come per Balzac. Molto spazio è dedicato a Stendhal, autore di una biografia rossiniana piena di falsi e calunnie, che ricorre spesso nei pensieri del genio di Pesaro come fonte di insicurezze e di collere postume. I numerosi incontri pubblici fra i due personaggi sono invece descritti come schermaglie piuttosto sanguinose esercitate con garbo salottiero. Alcune famose battute sono citate, così come l’antefatto e lo svolgimento della famosa prima rappresentazione romana del Barbiere di Siviglia, in un crescendo di angoscia per il giovane Rossini, accresciuta in modo esponenziale da un giro manica troppo stretto della sua giacchetta nuova, che, se da una parte ne frenerà i movimenti, dall’altra lo obbligherà per lo meno a mantenere una posizione dignitosamente eretta mentre attorno si scatena l’inferno. Grande spazio è dedicato anche alle donne della sua vita: la madre Anna, la prima moglie Isabella Colbran, e la seconda Olympe Péllissier, presentata come assistente paziente e sollecita, capace di rendere meno penosi gli ultimi anni del maestro. Si intravedono però mille altre avventure, attinenti al lato sfrenato del suo carattere, così come il gusto per il cibo e la capacità di mangiare per ore e ore, di cui ci viene spiegato il trucco: i pizghèn ovvero i piccolissimi bocconi che Rossini masticava a lungo, come le aveva insegnato la madre ai tempi della fame che li aveva afflitti mentre il padre, giacobino, si trovava in carcere. Questo dei pizghèn sembra un particolare irrilevante, mentre è significativo della rincorsa che durò tutta la vita per recuperare gli anni della sua povertà, per ripagare i suoi genitori di tutti i sacrifici affrontati per farlo studiare e per mettersi in pari con quella vita che divorava nel tentativo di sfuggire alle ombre che lo opprimevano.
Simona Baldelli, pesarese, è rimasta a lungo alla Fondazione Rossini a studiare, leggere carte e lettere e confrontarsi. Si avverte lo scrupolo della documentazione e il rigore nel rispetto delle fonti, ma il taglio originale che cerca le radici profonde del disagio di quest’uomo è ciò che rende questo lavoro così riuscito, nel voler dare conto del lato oscuro di una delle menti più brillanti della storia della musica.
Daniela Goldoni