Cimbalon, tre ampi set di percussioni che vanno dal djembè al taiko e ai campanacci, un basso elettrico, un coro, un'orchestra e delle registrazioni di rane che gracidano. Sono finito a un concerto di Jovanotti sotto acidi?
Mi sturo le orecchie, mi stropiccio gli occhi, li strizzo ben bene e li spalanco nuovamente.
Mi trovo nella sala grande dell'Auditorium Parco della Musica di Roma e sto assistendo alla prima italiana di The Gospel According to the Other Mary, opera-oratorio in due atti composta nel 2010 da John Adams su libretto di Peter Sellars ed eseguita per la prima volta a Los Angeles nel 2012.
We know there will be no utopias,
that we will always have the poor.
But let those who talk of softness,
of sentimentality,
come to live with us in cold,
unheated houses in the slums.
Lo sappiamo che non ci saranno utopie,
che continueremo sempre ad avere poveri.
Ma quelli che parlano di buonismo,
di sentimentalismo,
venissero a vivere con noi in fredde
case non riscaldate, nelle baraccopoli.
Il pubblico romano aveva già avuto modo di assistere a un lavoro di John Adams due anni fa, al Teatro dell'Opera di Roma; si trattava di una commedia sentimentale (recensita sempre su Operaclick [6]) dall'importante colorito sociale, anch'essa comprendente un terremoto (quello di Los Angeles): I Was Looking at the Ceiling and Then I Saw the Sky. Come allora, anche oggi il numero di persone presente in sala non è quello delle grandi occasioni. Un vero peccato. Tra i convenuti, inoltre, non tutti apprezzano il linguaggio musicale di Adams: il pubblico si assottiglia durante l'intervallo tra il primo e il secondo atto.
A parte la scarsa predilezione del grande pubblico italiano per la musica colta contemporanea (anche se definire la musica di John Adams semplicemente “colta” è una forzatura, visto anche quello che dirò tra poco), cos'ha questa “Passione” di circa due ore per far storcere il naso a più di un esperto? Una non piccola parte di questo malcelato disprezzo va probabilmente ricercata nel modo in cui Adams, in questo e in altri lavori, compresa l'opera già vista a Roma, persegue deliberatamente un orizzonte estetico postmoderno.
Let them come to live with the criminal,
the unbalanced, the drunken,
the degraded, the perverted.
(It is not the decent poor, it is not the decent sinner
who was the recipient of Christ's love)
Venissero a vivere con il criminale,
lo squilibrato, l'ubriacone,
lo spregevole, il pervertito.
(Non è il povero decoroso, non è il peccatore decoroso
a essere stato il destinatario dell'amore di Cristo)
Bisogna parlare di postmodernismo non solo per il mero fattore cronologico, ma per le caratteristiche principali di questi lavori di Adams che si ritrovano in tutte le arti in cui è stato teorizzato questo genere artistico: la mescolanza di stili e prospettive; la fittissima intertestualità anche tra diversi generi artistici, senza divisioni tra arte colta e arte popolare; il rifiuto della narrazione lineare; la presenza massiccia di ironia e autoironia; l'accentuato dinamismo. Tutti fattori evidentemente presenti in questa opera-oratorio (già il fatto che sia difficilissimo inquadrare questo lavoro in un genere preciso la dice lunga).
Questi lavori di Adams mostrano una notevole affinità, per esempio, con alcune pagine di icone del postmodernismo come David Foster Wallace. Penso all'attenzione posta al cambio delle prospettive, sia rispetto alla tradizione letteraria e musicale, grazie a una Maria Maddalena sganciata dall'archetipo della peccatrice penitente, sia all'interno dell'opera stessa, con la contrapposizione tra la visione pragmatica di Marta, la quale sa che per poter fare opere di bene serve del denaro in cassa e che spesso tutto ciò che si ha da offrire ai più poveri sono delle lenzuola sporche e del cibo rozzo dall'odore nauseante, e quella mistica di Maria, che si aggira interrogandosi sulle ragioni della propria fede e che quando Marta chiede come mai non apparecchi la tavola viene difesa da Gesù, dal momento che essa ha scelto “l'unica cosa di cui c'è bisogno” e che “non le sarà portata via”.
Let their ears be mortified
by harsh and screaming voices,
by the constant coming and going
of people herded together with no privacy
Mortificassero le proprie orecchie
con voci urlanti e aspre,
col continuo andare e venire di persone
ammassate insieme senza alcuna intimità
Per la mescolanza di generi musicali, basti dire che le pagine, pur succedendosi quasi ininterrottamente in entrambi gli atti, sono diversissime per ispirazione e stile. Faccio alcuni esempi.
Notevole è sembrata l'influenza da ascrivere, forse inconsciamente, alla musica cinematografica. La sequenza della resurrezione di Lazzaro, a tal proposito, mi pare illuminante. Gli archi all'inizio delineano uno sfondo cupo e ovattato, intriso di inquietudine e suspense; la lenta climax, intensificando l'atmosfera descritta e conducendo al poderoso crescendo finale, si snoda attraverso effetti sonori come gli interventi fulminei di archi e fiati, il gong e grancassa usati in modo “ambientale” con impeto crescente e, soprattutto, l'uso del coro per ottenere un duplice effetto: quello spettrale, ben noto agli estimatori dell'ultimo atto di Rigoletto, e quello di chiacchiericcio informe, a simulare l'ansia sempre più spasmodica della folla, in attesa del miracolo che arriva puntuale.
La fascinazione per strumenti di uso infrequente nella tradizione della musica colta occidentale, subita da molti autori contemporanei, conduce ad alcuni tra i momenti musicalmente più esaltanti della serata. Il cimbalom ben suonato da Hans-Kristian Kjos Sørensen, ad esempio, sebbene in molte scene sembri essere usato col limitato compito di colorare e arricchire l'orchestrazione, è l'indiscusso protagonista di En un dia de amor, pagina tra le più riuscite dell'oratorio. Qui, assieme a pianoforte e arpa, il cimbalom stende uno splendido tessuto musicale su cui il coro femminile ricama un canto ricco di contrasti (sillabati e portamenti, scatti e distensioni) sui versi intrisi di malinconica gioia esistenzialistica di Apuntes para una declaración de fe della poetessa messicana Rosario Castellanos. E proprio il plurilinguismo dovuto alla presenza di brani in spagnolo e latino è un altro elemento tipicamente inscrivibile nella poetica postmoderna.
Il basso elettrico, con interventi a ritmo sostenuto degli ottoni, è usato in un brano di grande dinamismo in apertura di secondo atto, accostato dal compositore stesso al genere rock in un incontro stampa di qualche giorno fa. Ancor più movimentata la scena del terremoto, prima della resurrezione di Cristo, in cui a scatenarsi sono i tre percussionisti, con il djembè ad aprire le danze seguito a stretto giro da taiko e grancassa. Il coro e i solisti gridano il proprio stupore sul versetto del Vangelo secondo Matteo “Ed ecco, vi fu un gran terremoto”.
Non mancano oasi di maggior intimismo. Bella l'aria assorta di Lazzaro, alla fine del primo atto, sul testo Pasqua di Primo Levi, in cui lo stile vocale molto eterogeneo sfrutta a fini espressivi qualsiasi tecnica, compresi dei passaggi “non lirici” da musica leggera. Un altro momento di distensione è It is spring, seguente la morte di Gesù. Il testo è The Sacraments, della scrittrice statunitense Louise Erdrich, e il riferimento alla primavera e alle rane che in questa stagione “tirano fuori dalle sabbie mobili i corpi nuovi e strani” è una chiara metafora che sta a indicare la resurrezione ventura, quindi il cambiamento del corpo e la rinascita che si avvicinano. Il coro attacca con gentilezza per poi interrompersi: le frasi vengono riprese e il discorso completato da Maria Maddalena. Mentre la musica avanza, una registrazione di rane gracidanti si fa largo tra le note, con stupore del pubblico.
Le cerniere narrative, così come le poche parole di Gesù riferite indirettamente, sono cantate da tre controtenori (tre, come i percussionisti e i solisti). Questa scelta va letta in continuità con il precedente oratorio di Adams, El Niňo, in cui veniva affrontato il tema della Natività e che quindi con quest'opera forma un dittico religioso su nascita e morte di Cristo.
Let their taste be mortified
by the constant eating
of insufficient food
cooked in huge quantities
for hundreds of people,
the coarser foods,
and the smell of such cooking is often foul.
(It is a deep hurt and suffering
that this is often all we have to give.)
Mortificassero il proprio gusto
mangiando di continuo
cibo insufficiente
cucinato in enormi quantità
per centinaia di persona,
i cibi più rozzi,
e spesso l'odore della preparazione è schifoso.
(È un profondo dolore e una sofferenza
che ciò, spesso, sia tutto quello che abbiamo da offrire)
I complessi di Santa Cecilia confermano la propria elevata statura, sotto la bacchetta di un elettrizzato Adams che, a più di settant'anni, saltella frenetico e accompagna l'intera esecuzione a tratti quasi danzando. L'Orchestra dell'Accademia di Santa Cecilia svolge un ottimo lavoro, in particolare, questa volta, per quanto riguarda percussioni e fiati (importante il lavoro di trombe e tromboni). Molto bene anche Andrea Rebaudengo al pianoforte e Cinzia Maurizio all'arpa, oltre al basso elettrico di Massimo Ceccarelli.
Il lavoro del Coro dell'Accademia di Santa Cecilia, come spesso accade, è da spellarsi le mani. In particolare la componente femminile del coro. Sarà contento il maestro del coro, Ciro Visco, perché gli applausi più fragorosi sono ancora una volta per i “suoi” artisti. Più che a En un dia de amor e It is spring, brani stupendi e strazianti, cantati con esattezza, buona dizione e sincronia, le lodi da tributare (almeno per la serata di venerdì 2 novembre) vanno alle pagine più aggressive: le potenti ondate canore sulle parole «Jesus of Nazareth», all'inizio del secondo atto, e l'intera scena iniziale; l'incandescente coro su testo latino della monaca benedettina Hildegard von Bingen Spiritus sanctus vivificans vita. Qui vibrano con più forza la violenza degli uomini e delle donne che, per quanto postmoderna, rimane elemento imprescindibile di ogni “Passione”.
I solisti, a fronte di cotanta potenza, inizialmente sembrano non possedere il giusto peso specifico. Soprattutto il Lazarus del tenore Jay Hunter Morris, durante l'aria “di sortita”. Morris, però, si riprende benissimo in seguito: la voce si scalda e il tenore conclude il primo atto con un'ottima interpretazione di Tell me: how is this night, con la voce chiamata a sbalzi stilistici risolti con nonchalance e musicalità, per poi continuare su ottimi livelli per l'intera durata del secondo atto. Il timbro non è bellissimo, ma il fraseggio colpisce per profondità e la dizione è incredibilmente chiara e comunicativa.
Discorso simile per il contralto Elisabeth DeShong, la quale canta il ruolo di Marta, allo stesso tempo il ruolo dall'impatto musicale più ostico (pochi i momenti incisivi e memorizzabili già a un primo ascolto) e dai risvolti sociali più evidenti: è lei a perorare lungamente le cause dei deboli, degli oppressi, degli ultimi, riportando a una dimensione pragmatica le ansie spirituali di Maria e Gesù. Timbro non memorabile e volume non troppo ampio, ma fraseggio convincente e sentito.
Molto bene la Maria Maddalena del mezzosoprano Kelley O'Connor, non solo per il fraseggio ma più in generale per l'interpretazione: è l'unica a dare qualcosa in più sul palco, con mimica ed espressività facciale, e a lei sono assegnati i momenti più spiegatamente lirici. Di forte impatto emotivo, per motivi diversi, In my own quietly explosive here, su testo di June Jordan, quando Maria rifiuta di uscire a incontrare Gesù, tremendamente incollerita a causa del suo ritardo che ha causato la morte di Lazzaro, e I love You to my farthest limits, in cui invece emerge il grande amore che la lega a Gesù “fino agli estremi limiti”, su testo di Rosario Castellanos.
Molto bravi i tre controtenori, soprattutto il primo, Daniel Bubeck, dal timbro gradevole, dalla voce potente e dal fraseggio decisamente convincente e comunicativo. Bravi anche Nathan Medley, il terzo controtenore, e Brian Cummings. Ottimo l'affiatamento tra i tre, l'impasto sonoro e la gestione di ritmi e dinamiche.
La recensione si riferisce al concerto del 2 novembre 2018.
Mary | Kelley O'Connor |
Martha | Elisabeth DeShong |
Lazarus | Jay Hunter Morris |
Controtenore I | Daniel Bubeck |
Controtenore II | Brian Cummings |
Controtenore III | Nathan Medley |
Direttore | John Adams |
Maestro del Coro | Ciro Visco |
Orchestra dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia | |
Coro dell'Accademia Nazionale di Santa Cecilia |
Michelangelo Pecoraro