Come è noto, a cavallo tra ‘600 e ‘800 l’Italia fu la meta preferita del “Grand Tour”, il viaggio formativo attraverso l’Europa dei giovani appartenenti alle élites. Ma l’Italia in questi due secoli fu tappa obbligata anche di compositori, cantanti ed interpreti, e tra questi uno dei più grandi fu Händel, che vi soggiornò tra l’estate del 1706 ed il febbraio del 1710. Il “Sassone” era nato ad Halle il 23 febbraio 1685, un’ottima annata nel segno di Santa Cecilia: dopo di lui nacque infatti Johann Sebastian Bach (il 21 marzo ad Eisenach in Turingia) e poi Domenico Scarlatti il 26 ottobre a Napoli.
Ritornando ad Händel, si deve ricordare che quei quattro anni furono fondamentali per la sua formazione e per la nascita di uno stile inconfondibile che guardava al patrimonio dei propri predecessori e contemporanei di diverse nazionalità. E dopo diversi successi “italiani”, a far capire di che pasta fosse la levatura del compositore bastò la trionfale accoglienza che riscosse il “Rinaldo” andato in scena il 24 febbraio 1711 al Queen’s Theatre di Londra e che segnò l’inizio della fortunata stagione londinese di Händel.
La trama, nata dall’idea dell’impresario Aaron Hille che affidò la stesura del libretto al poeta Giacomo Rossi ed allo stesso autore, è tratta liberamente da un episodio della “Gerusalemme liberata” di Torquato Tasso, vicenda celebre nel Settecento a teatro ed in pittura. L’argomento centrale del poema epico, finito di scrivere nel 1575 e dal poeta sorrentino dedicato ad Alfonso II d’Este, è la prima Crociata e la guerra con la quale i cristiani, guidati da Goffredo da Buglione, riescono a liberare il Santo Sepolcro, sconfiggendo i Saraceni guidati da Argante e Solimano.
“Rinaldo” in Puglia era già stato rappresentato a Lecce nel 2003 – durante la gestione Ricciarelli - con lo storico allestimento di Pier Luigi Pizzi. Ed ora questo autentico capolavoro è ritornato in Terra d’Otranto per il pirotecnico finale della 44ma edizione del Festival della Valle d’Itria, la nona con la direzione artistica di Alberto Triola. Tenendo però fede alla linea che ha sempre contraddistinto la rassegna, ovvero quella di riesumare opere rarissimamente eseguite (per dirla con Rodolfo Celletti), nel gremito Palazzo Ducale di Martina Franca è andata in scena con grande successo la versione napoletana.
Un “pasticcio” in salsa partenopea assemblato da Leonardo Leo nell’ottobre 1718 in occasione del compleanno del sovrano Carlo VI, con l’aggiunta di intermezzi e due personaggi buffi, Lesbina e Nesso, e di pagine di Francesco Gasparini, Giuseppe Maria Orlandini, Giovanni Porta, Domenico Sarro e Antonio Vivaldi. Versione caduta nell’oblio fino al ritrovamento del manoscritto dell’opera nella biblioteca privata di un castello inglese nel 2012.
E come ha accuratamente spiegato Giovanni Andrea Sechi, il musicologo che ha ricostruito la partitura, quella rappresentata a Martina non è stata la «partitura completa di quest’ultima versione, bensì un’edizione che riunisce tutte le fonti superstiti. Le lacune sono state colmate con altri brani coevi o con porzioni di musica da me ricostruite».
Trecento anni fa ad impersonare il ruolo del titolo fu il castrato Nicolino Grimaldi, cognato del compositore tarantino Nicola Fago e primo interprete assoluto nel 1711. Ritornando nella sua città dopo tanto peregrinare per le corti europee, il celebre cantante si portò dietro la partitura e la fece adattare ai gusti meno eroici, più passionali e pronti alla risata del pubblico italiano. E si avocò l’aria più celebre dell’opera, “Lascia ch’io pianga” (che era invece di Almirena), facendola diventare “Lascia ch’io resti”.
D’altronde Händel stesso utilizzò in larga misura molte pagine scritte nel suo ancora recente viaggio di formazione italiano, e tra queste proprio quest’aria tratta dall’oratorio “Il trionfo del tempo e del disinganno" del 1707. Aria, intitolata “Lascia la spina”, che a sua volta proveniva da una sarabanda solo strumentale dell’“Almira”, prima sua opera rappresentata ad Amburgo nel 1705.
Non è mai facile ridare vitalità scenica ad opere che si basano in buona parte sulla staticità tipica del dramma belcantistico e si fondano su strutture lontane dalla nostra percezione culturale. Le opere barocche presentato infatti una musica effervescente, con occasioni straordinarie per i cantanti, e dunque l’emozione viene trasmessa (non sempre in verità) attraverso il virtuosismo canoro. Spesso però sono opere drammaturgicamente inconsistenti e schematiche. Bisogna allora trovare il corrispondente attuale e moderno del lato visuale che un tempo era il punto di forza di questi spettacoli.
E su questa via si è cimentato con buoni esiti (anche se non è mancato alla fine qualche fischio) il regista Giorgio Sangati, allievo di Luca Ronconi, che ha ambientato la sfida negli anni ’80 del secolo scorso immaginando due fazioni di divi del recente passato, appartenenti al pop-rock (i cristiani) e al dark-metal (i turchi). Scene (un palco da concerto), costumi (di foggia comunque settecentesca) e luci (un po’ cupe) erano rispettivamente di Alberto Nonnato, Gianluca Sbicca e Paolo Pollo Rodighiero. E così Rinaldo è diventato Freddie Mercury e la maga Armida si è tramutata in Cher. Ma c’era spazio anche per Elton John (Goffredo), David Bowie (Eustazio), Madonna (Almirena) e Gene Simmons dei Kiss (Argante). Un’operazione trasgressiva più nelle intenzioni che nella effettiva realizzazione, tutto sommato abbastanza convenzionale.
Nel cast hanno primeggiato Carmela Remigio e Teresa Iervolino. La Remigio si è calata alla perfezione nei panni di Armida (in questa versione appannaggio della voce sopranile),donandole intanto una presenza scenica veramente regale e seducente. E poi la voce è ancora più bella rispetto agli esordi, con un timbro più intenso e brunito, ed intatti sono rimasti un fraseggio sempre fantasioso ed un dettato belcantistico privo di qualsiasi asperità.
Eccellente anche la prova del mezzosoprano Iervolino, che debuttava nel ruolo “en travesti” di Rinaldo, per la bellezza del timbro con screziature contraltili, le ottime agilità ed il rigore stilistico e musicale. Il pubblico le ha tributato una vera ovazione al termine di “Lascia ch’io resti”, forse la vetta più emozionante dell’intera esecuzione.
Molto bravo anche il mezzosoprano Loriana Castellano come Almirena, con una voce molto morbida e quasi sopranile nel registro acuto, che si è fatta ammirare in particolare nella splendida interpretazione di “Augelletti che cantate”, uno dei vertici dell’opera. Decisamente più efficace sul piano scenico, ma con una vocalità affatto trascurabile, il contralto Francesca Ascioti si è ben disimpegnata nella parte di Argante, al pari del mezzosoprano estone Dara Savinova, un Eustazio dalla voce molto corretta nell’emissione e credibilissimo nella recitazione. L’elemento più debole del cast è stato il tenore Francisco Fernández-Rueda, Goffredo di poco piglio e senza grande volume. Una prestazione comunque accettabile, oggetto però di qualche isolato fischio al termine del primo atto. Completavano decorosamente il cast l’Araldo di Dielli Hoxha, lo Spirito in forma di donna di Kim-Lillian Strebel ed il Mago Cristiano di Ana Victória Pitts, tutti allievi dell’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti”. Bravissimi, nei ruoli buffi di Nesso e Lesbina (solo recitati), Simone Tangolo e Valentina Cardinali, attori provenienti dal Piccolo Teatro di Milano.
Un plauso particolare va all’ottima concertazione di Fabio Luisi, direttore musicale del Festival, sul podio dell’eccellente orchestra svizzera “La Scintilla”. Inutile sottolineare la pulizia e la precisione con cui il maestro genovese ha sottolineato i vari momenti della partitura stilisticamente così variegata, ed il puntuale e mai prevaricante accompagnamento al canto. Veramente una grandissima prova a cui è forse mancato, in alcuni momenti, un più energico slancio ritmico.
La recensione si riferisce alla serata del 29 luglio 2018.
Armida | Carmela Remigio |
Goffredo | Francisco Fernàndez-Rueda |
Almirena | Loriana Castellano |
Rinaldo | Teresa Iervolino |
Argante | Francesca Ascioti |
Eustazio | Dara Savinova |
Lesbina | Valentina Cardinali |
Nesso | Simone Tangolo |
Araldo di Argante | Dielli Hoxha* |
Uno Spirito in forma di Donna | Kim-Lillian Strebel* |
Mago Cristiano | Ana Victória Pitts* |
Direttore | Fabio Luisi |
Regia | Giorgio Sangati |
Scene | Alberto Nonnato |
Costumi | Gianluca Sbicca |
Luci | Paolo Pollo Rodighiero |
Orchestra "La Scintilla" | |
*Allievi dell’Accademia del Belcanto “Rodolfo Celletti” | |
Prima esecuzione in tempi moderni | |
Edizione critica e ricostruzione a cura di | Giovanni Andrea Sechi |
Eraldo Martucci