L’eco finale di Eckardt sembra incredibilmente Beethoven. Lo abbiamo pensato tutti, c’è anche chi nemmeno, forse, ha colto questa straordinaria affinità (si dice con ironia) e si è scosso dopo, all’improvviso, quando ha riconosciuto l’affannosa scaletta iniziale de “La Tempesta”. Lì, finalmente, ce ne siamo accorti, anche se Jason Eckardt (Echoes’ White Veil) e Ludwig van Beethoven senza soluzione di continuità ci suona ancora strano: il fluire da una sorta di heavy metal “edulcorato” all’Ottocento con tanta disinvoltura non ci era mai capitato.
Del resto, sul palcoscenico c’era Conrad Tao, giovane artista americano di origini cinesi, che non può essere certo definito un rigoroso, e lo diciamo senza alcuna nota polemica; interpreta a modo suo, tutto qui, senza discriminazioni di epoche, generi, stili, con una tecnica strabiliante, idee a dir poco originali e tutto il vigore della gioventù. E così capita che un compositore nato quarantasette anni fa tenda la mano al padre del Romanticismo e che – questo è il lato comico e, se vogliamo, teatrale – tutti ci caschiamo come pere. Qualche commento sarcastico in effetti gironzola qua e là: “Beh, nessuno avrebbe applaudito se si fosse fermato, perché è impossibile orientarsi nei guizzi jazzistici o nelle bizzarrie armoniche di Eckardt e capire quando arriva alla conclusione vera”. Tanto per ribadire, insomma, che la musica contemporanea si digerisce ancora con difficoltà e che va mitigata con qualcosa di “classico”.
Ma non è certo questo il motivo per cui Tao non ha interrotto la sua esecuzione tra un brano e l’altro, scelta per altro ripetuta nella seconda parte della serata, al traino ancora Beethoven, ad aprire le danze invece le Intermittences di Elliot Carter; e meno male che questa volta ce ne siamo accorti subito, visto che la Sonata op. 31 n. 3 è più “regolare” e si riconosce immediatamente. Non quindi per timore di sbigottito silenzio, si diceva, ma semplicemente perché gli andava così, è una caratteristica di questo ventiquattrenne musicista quella di stupire, è eccentrico e un tantino stravagante, forse si è stancato del “prevedibile” e ha deciso di scrollare un po’ il torpore delle sale da concerto. Può piacere, può non piacere, ma la preparazione non si discute: Tao possiede una stupefacente gamma di colori, è capace di passaggi dinamici repentini, di sospensioni cariche di attesa, di delicatezza estrema, poi all’improvviso provoca vere e proprie scosse elettriche. Tanto che Beethoven, lasciato intatto nell’estrema dolcezza e cantabilità dei tempi lenti, sembra invece un precursore della tecnica jazzistica nello Scherzo, o nell’ Allegro vivace, che incredibilmente si prestano a spunti interpretativi dal sapore appunto “americano”, tra singulti, impulsi, contrasti timbrici forti e decisi.
Conrad Tao si diverte, suona con un’enfasi contagiosa, vorrebbe ballare, ha una gestualità che forse è un po’ ricercata, ma che non disturba affatto, muove continuamente le dita e – oplà - un colpetto di falange al tablet sul leggio; niente spartito di carta – siamo nell’era digitale - solo lo schermo; poi chissà se lo guarda davvero. La musica ce l’ha dentro, su questo non c’è dubbio, ma il tablet è un vezzo che gli calza a pennello, non fa una grinza, perfettamente inserito nel suo XXI secolo, tutti i confort del Duemila con una strizzata d’occhio alla tradizione. Ancora una cosa, la teatralità; e non intendiamo, con questo termine, il voler apparire – o almeno non solo – ma la capacità di cogliere il teatro in ciò che ha davanti: Tao non esegue (solo) quel che è scritto, va oltre, guarda attraverso il pentagramma, scava le note, studia i silenzi, respira e si lascia andare a emozioni personali, non stereotipate; poi ce le trasmette, senza timori o imbarazzi. Un artista sopra le righe, anzi, usando la terminologia musicale, sopra “i righi”.
Stupore, tanto, del pubblico, anche se Tao lo conoscevano già alla Gog, visto che ha chiuso la scorsa stagione, anche allora tra curiosità, entusiasmo e – perché no? - qualche perplessità. A maggio il congedo, questa volta l’inaugurazione: la Giovine Orchestra Genovese apre così il nuovo cartellone, con un pensiero alle vittime del crollo del ponte (l’incasso sarà devoluto agli sfollati) e lo sguardo sempre proiettato al futuro. Ne ha bisogno l’Arte, ne ha bisogno Genova; ora più che mai.
La recensione si riferisce al concerto di lunedì 15 ottobre 2018.
Jason Eckardt | Echoes' White Veil |
Ludwig van Beethoven |
Sonata in Re minore op. 31 n. 2 Sonata in Mi bemolle maggiore op. 31 n. 3 |
Elliot Carter | Intermittences |
Pianoforte | Conrad Tao |
Barbara Catellani