Da circa un mesetto è disponibile nelle librerie, edito da Garzanti, l’ultimo “librino” – così lo definisce l’autore – scritto da Alberto Mattioli ed intitolato “Meno grigi più Verdi”. Un’interessante pubblicazione dedicata a colui che “Diede una voce alle speranze e ai lutti. Pianse ed amò per tutti”; questi i toccanti e profondi versi con cui Gabriele D’Annunzio descrisse Giuseppe Verdi. Non si tratta dell’ennesimo libro biografico o di approfondimento musicologico sulla produzione del Cigno di Busseto, bensì un testo che tende a portare in evidenza la profonda conoscenza che Verdi aveva del popolo italiano, delle problematiche che lo affliggevano e delle sue peculiarità osservate con occhio critico e spesso severo. Mattioli descrive benissimo il carattere del grande bussetano in tutte le sue sfaccettature: l'uomo burbero, timido, riservato, orgoglioso e parsimonioso – pur senza farsi mancare nulla non ostentava ricchezza – che sapeva diventare generosissimo con chi riteneva che avesse veramente bisogno di aiuto. Aneddoti, testimonianze, episodi, lettere sono snocciolati con lo stile vivace e colorito che sono propri al giornalista e scrittore modenese, facendo sì che il volume di 160 pagine scorra con grande fluidità.
Ma fra tanta scorrevolezza non passa certamente inosservata la guerra che Mattioli, da autentico appassionato d’opera ed in questo caso, verdiano DOC, ha intrapreso con decisione contro quella che lui chiama la museificazione del teatro d’opera. E lo fa partendo dalla retorica che avviluppa il nome di Verdi nell’odierno sentire italiano: una pletora di frasi prelevate dal nutrito epistolario del grande bussetano che, decontestualizzate, perdono o addirittura sovvertono il loro reale significato diventando stupidi e falsi luoghi comuni. L'autore del libro smonta uno ad uno questi “detti” a partire dal più abusato: “torniamo all'antico e sarà un progresso”. Questa frase fu utilizzata da Verdi in una precisa occasione, per stigmatizzare il non ottimale metodo di insegnamento della musica divenuto più blando rispetto a qualche anno prima. In realtà Verdi ebbe sempre lo sguardo proiettato al futuro mantenendosi aggiornatissimo sulle nuove scoperte scientifiche e tecnologiche che, nell'ambito del settore agricolo, sperimentava nelle sue tenute. Per rendersi conto di quanto poco si voltasse indietro in ambito musicale, basti osservare l'evoluzione stilistica vissuta dalle sue composizioni a partire dall'esordio avvenuto con Oberto Conte di S.Bonifacio sino ad Otello e Falstaff.
Mattioli condanna la “verdianità” cresciuta e consolidatasi in Italia nei decenni e coloro che si ergono a numi tutelari – ad esempio alcuni loggionisti – a scapito del vero Verdi, quello che con le sue opere ha raccontato più di ogni altro gli italiani, un popolo che il tempo non ha cambiato molto. Ed in effetti, come fatto notare giustamente nel libro, l'orgia che si svolge nel palazzo del Duca di Mantova durante la prima scena di Rigoletto e quello che avveniva ad Arcore durante le ormai celebri serate del bunga-bunga, sono storie pressoché sovrapponibili.
La vicenda di Alphonsine Rose Plessis, giovanissima prostituta d'alto bordo nota nella Parigi della prima metà dell'800 con lo pseudonimo di Marie Duplessis, ispirò Alexandre Dumas figlio a scrivere La Dame aux camélias e, cinque anni dopo, Giuseppe Verdi a comporre La Traviata con il chiaro intento di scandalizzare, ponendo la borghesia della sua epoca di fronte al proprio comportamento ipocrita. Purtroppo la censura gli tolse parte dello sperato impatto, obbligando il compositore ad ambientare la vicenda a cavallo tra il '600 e il '700 e lui accettò “a suo gran malincuore” - come scrisse al fido Piave - pretendendo che non venissero indossate parrucche. Ed anche la storia di Marie Duplessis, al pari di Rigoletto, è facilmente trasportabile ai nostri giorni con tutta l'ipocrisia che continua a circondare il mondo della prostituzione.
Ed è questa modernità drammaturgica che Mattioli rivendica per evitare che il teatro verdiano soccomba nel mausoleo della presunta e falsa “verdianità”.
Aida dev'essere senza piramidi, palme, sacerdoti egizi e negretti danzanti; Rigoletto senza palazzo ducale, dame, cavalieri, alabardieri, duca e buffone di corte; La Traviata dev'essere rigorosamente ambientata ai giorni nostri in maniera che gli spettatori si rendano bene conto che i puttanieri sono fra loro.
Questo è l'unico modo, secondo l'autore di questo interessante libro, per avvicinare i giovani al teatro d'opera, mantenerlo vivo rendendo veramente onore a Verdi.
Sempre secondo Mattioli il teatro non è un luogo dove andare a svagarsi con leggerezza e magari sognare fra scorgi scenografici dei tempi che furono, ma un posto dove lo stesso titolo d'opera ogni volta venga reinventato facendo riflettere e magari, scervellare, il pubblico nel tentativo di decifrare ciò che vede. E ancora: gli allestimenti che rispettano l'ambientazione e le didascalie del libretto sono la causa dell'allontanamento dei giovani dai teatri d'opera mentre il fatto che la nostra scuola non faccia nulla per far conoscere ai bambini e ai ragazzi gli infiniti capolavori dei nostri grandi operisti è del tutto irrilevante per la diffusione di questa particolare forma d'arte. Mattioli argomenta questo suo pensiero facendo notare che ai tempi di Verdi l'opera non veniva insegnata nelle scuole, anzi, l'analfabetismo era diffusissimo, eppure era molto più popolare di oggi.
Alcune delle considerazioni di Mattioli che ho riepilogato molto sinteticamente pocanzi, sono in realtà spiegate molto bene ed ampiamente fra i capitoli del libro dedicati ad alcune opere verdiane: Stiffelio, Rigoletto, Il Trovatore, La Traviata, Un ballo in maschera, La forza del destino, Don Carlos, Aida, Otello e Falstaff.
“Meno grigi più Verdi” è un libro pieno di idee e spunti di discussione che, per ovvie ragioni, non possiamo affrontare sviluppandoli come meriterebbero in questo contesto. Ci limitiamo a dire che non condividiamo del tutto la linea di pensiero mattiolana nel suo eccessivo integralismo.
Concordiamo sul fatto che alcune opere possiedano libretti talmente moderni da poterle ambientare ai nostri giorni senza colpo ferire, nel pieno rispetto della drammaturgia. Per queste opere, quando il lavoro viene affidato a registi intelligenti, può funzionare anche l'inserimento di simboli e riferimenti per far passare, oltre al messaggio dell'autore, anche quello del regista; ben vengano questi casi. Ma quando non esiste da parte del regista un piano di lettura 2 - per dirla alla Antoniozzi (leggi qui [3]) - , tanto vale lasciare le cose secondo la mise en scène prevista da Verdi.
Inoltre riteniamo che spettacoli, per così dire, tradizionali possano, anzi, debbano coesistere ed affiancarsi ad altri di matrice più moderna. Ad esempio, per avvicinare i bambini all'opera è importante che siano disponibili spettacoli che si “limitino” a raccontare una trama che non sia inquinata da elementi che possano complicarne la comprensione. Detto ciò, ci riagganciamo brevemente al tema dell'avvicinamento dei bambini a partire dalla scuola primaria, cosa che noi riteniamo fondamentale. All'epoca di Verdi non insegnavano l'opera a scuola eppure era più amata di oggi, così come oggi non viene insegnato il cinema eppure i ragazzi vi si recano spontaneamente. Ogni epoca ha sempre posseduto la sua forma di intrattenimento popolare: non si può pensare che i giovani di oggi si avvicinino all'opera lirica, tanto cara ai loro trisavoli, senza che nessuno si impegni nel fargliela conoscere, capire, apprezzare e magari amare. In tal senso ritenitamo di importanza impagabile il progetto "Opera Education [4]" avviato da AsLiCo [5] che con grande e crescente capillarità territoriale porta l'opera a bambini e ragazzi da 0 a 18 anni.
[6]Un'altra riflessione a cui ci ha portato questo bel “librino”: siamo sicuri che rileggere in chiave moderna i libretti verdiani sia il modo migliore per rendere onore a Verdi? A questa domanda ci siamo risposti con altre domande. Come mai a Verdi, qualche decennio dopo la prima rappresentazione avvenuta nel 1842, non venne in mente di riambientare Nabucco trasportandolo dall'antica babilonia al periodo delle guerre d'indipendenza italiane? Ovviamente Nabucco è solo un esempio. Forse proprio perché Verdi guardava sempre avanti?
Il Cigno di Busseto, ormai già anziano (siamo negli anni '80) in una delle sue tante lettere a Giulio Ricordi, scrive: “Ho sentito del grosso fiasco della Traviata alla Scala!! ma che diavolo vi salta in mente di snidare quelle opere vecchie?”.
In un'altra lettera a Ricordi riguardo una messa in scena di Don Carlos: “Fate dunque quel che credete per quest'opera; solo non permettete mai né tagli né trasporti et. et: come anche vien detto nel contratto: lo stesso pel Boccanegra”.
In merito ad una rappresentazione di Simon Boccanegra che si tenne a Parigi nel 1883 scrive: “Oh questo Boccanegra di Parigi è un vero supplizio!! Ho scritto oggi dando l'autorizzazione di fare l'antica cabaletta se vogliono. È un infamia!! Ma finiamola!”
Ma la stessa attenzione Verdi la metteva, soprattutto nella seconda parte della sua parabola artistica, nelle indicazioni relative alla mise en scène; ed anche su questo argomento ci sono moltissimi aneddoti consultabili nel suo ricco epistolario dove traspare un Verdi esigente e poco malleabile in tema di luminarie e indicazioni sceniche.
Ora, come già detto, dobbiamo tralasciare eccessivi approfondimenti ma non possiamo omettere quest'ultima frase scritta da Verdi in una sua lettera del 30 aprile 1880 a Ricordi: “Non bisogna mai rinvenire sulle cose fatte, a meno non sia per un'errore che porti a gravi conseguenze. Rinvenire vuol dire, tornare indietro: vuol dire pentimento: vuol dire tante cose... È meglio andar avanti anche ritornando all'antico.”
In questa lettera è evidente l'autocitazione di Verdi alla sua lettera a Florimo del 4 gennaio 1871 sulla riforma degli studi musicali nei Conservatori: “Torniamo all'antico e sarà un progresso”.
Ma queste pillole verdiane ci fanno riflettere soprattutto su quanto il Grande bussetano ritenesse intoccabili i lavori che lui considerava veramente finiti... quelli che aveva certificato con una sorta di immaginario bollino blu.
Insomma il “librino” ci fa nascere tanti dubbi e questo è un suo grande merito.
Le riflessioni di Mattioli, in buona parte condivisibili, possono essere un'ottima base di partenza per una discussione costruttiva perchè, come spesso accade, in medio stat virtus.
Un'ultima cosa: Verdi incoraggiava spesso Ricordi a far debuttare le nuove opere dei giovani compositori emergenti e probabilmente avrebbe apprezzato molto La Rivale composta da Marco Taralli sullo spassosissimo libretto di Alberto Mattioli [7] (autore anche del libretto de La Paura opera musicata da Orazio Sciortino [8]).
Ecco forse quale potrebbe essere un modo giusto per onorare Verdi e mantenere vivo il teatro d'opera: rappresentare le sue opere anche, ma non solo, in chiave moderna – qualche volta è bello poter andare al museo e vedere la Gioconda anche senza baffi – , ma senza reinventarne la drammaturgia; educazione dei giovani all'opera a partire dalla scuola primaria; produzione di nuove opere che raccontino e trattino argomenti di calda d'attualità.
E comunque è fondamentale che gli italiani si destino e diventino presto: “Meno grigi più Verdi”.
Meno grigi più Verdi. Come un genio ha spiegato l'Italia agli italiani | |
Autore | Alberto Mattioli |
Editore | Garzanti Libri |
Collana | Saggi |
Anno edizione | 2018 |
Pagine | 162 |
EAN | 9788811673293 |
Prezzo di copertina | 16€ |
Danilo Boaretto