Marco Berti, persona molto affabile e disponibile mi ospita nella sua accogliente casa nella brianza comasca dove vive con la sua bella famiglia, per rispondere alle mie domande
Parlando di Marco Berti si usa spessa la definizione "giovane tenore", potresti darci qualche dettaglio in più per conoscerti meglio?
sono nato a Como 41 anni fa. Mi sono diplomato al conservatorio di Milano studiando con Giovanna Canetti, ho studiato un po’ con Pier Miranda Ferraro e poi ho concluso gli studi con Gianfranca Ostini. Dopodiché mi son detto, quel che ho imparato ho imparato e il resto…. verrà con l’esperienza.
Per entrare un po’ più in dettaglio posso dire di aver iniziato a studiare seriamente dopo il servizio militare, intorno ai ventun anni età che ritengo piuttosto giusta per iniziare. Era appena stato aperto il conservatorio a Como ed un amico, il quale mi diede i primi rudimenti insegnandomi i primissimi vocalizi, mi consigliò di iscrivermi.
Ascoltai il consiglio iscrivendomi ed iniziando gli studi con Giovanna Canetti (allora insegnante a Como) pur continuando a lavorare all’Enel come tecnico.
I primi risultati riscontrati al conservatorio furono molto buoni e m’incentivarono a continuare.
I sacrifici che dovevo affrontare aumentarono, soprattutto in conseguenza del trasferimento a Milano della mia insegnante Giovanna Canetti,che immediatamente decisi di seguire.
Dal punto di vista strettamente musicale Como non mi avrebbe sicuramente potuto offrire le possibilità che ha potuto offrirmi in seguito Milano. In quel periodo nel corso di canto del conservatorio eravamo un bel gruppo di cantanti che, parallelamente agli studi facevamo parte del coro dei “Pomeriggi Musicali” e in quell’ambito nacquero le prime occasioni per metterci alla prova; venivano organizzati spesso dei concerti e i cantanti solisti venivano scelti fra i coristi. In classe con me in quel periodo c’era Barbara Frittoli ed insieme iniziammo a fare i primi concerti, molto utili come banco di prova, come esperienza personale.
La decisione di trasferirmi a Milano a studiare non fu molto gradita nell’azienda per la quale lavoravo la quale non voleva più concedermi i permessi necessari alla prosecuzione degli studi ed iniziò a crearmi problemi dislocandomi in faticose trasferte in posti sperduti fra le montagne lombarde. Questi ostacoli mi spinsero ad affrontare un’importante decisione, o il lavoro da tecnico dell’Enel o il canto.
In coincidenza, proprio in quel periodo era stato indetto un concorso per l’ingresso nel coro del Teatro alla Scala, decisi di giocare le mie carte, m’iscrissi e lo vinsi; questo avvenne dopo circa tre anni di studio nell’agosto del 1987 - nello stesso anno mi sono sposato.
Questa assunzione fu provvidenziale in quanto mi consentì di proseguire regolarmente gli studi e di finire il conservatorio. Sono le occasioni della vita che dobbiamo cercare di non lasciarci sfuggire.
Come mai ti sei avvicinato all’opera?
E’ una passione che mi è stata tramandata da mia madre grandissima appassionata e da un cugino che giudicarlo appassionato è dir poco, una di quelle persone che vivono sommerse dai dischi, cd e registrano tutto quello che è possibile registrare - immagino un po’ come tanti amici di OperaClick. Quindi il germe in famiglia c’era. Questo mio cugino si dilettava a cantare ai vari matrimoni e un giorno mi disse: ma perché non canti anche tu? Io suonavo la cornetta in un gruppo musicale ma mai avevo pensato sino ad allora al canto, eppure la cosa mi incuriosì e un po’ per gioco ma soprattutto per tanta passione la cosa è iniziata ed proseguita come ho precedentemente raccontato.
Con l’inizio degli studi milanesi sono entrato in un mondo che mi sembrava completamente diverso da quello al quale ero abituato. Da melomane “provinciale” qual mi ritengo, frequentavo le brevissime stagioni operistiche che venivano organizzate a Como e ricordo ancora che ci avvicinavamo al teatro con una gioia indescrivibile ed ancor oggi ogni tanto rivivo con il pensiero i brividi e le fortissime emozioni che provavo nel momento in cui vedevo aprire il sipario e l’orchestra intonava le prime note.
Le sensazioni che da ragazzo ho assaporato in quel piccolo teatro per me rimarranno indimenticabili.
Hai fatto fatica a trovare l'insegnante giusto e quale consideri tuo insegnante di svolta per il consolidamento della tecnica vocale ?
Dopo il conservatorio decisi di provare l’esperienza da tenore a tenore. Pier Miranda Ferraro era stato un celebre tenore del passato per cui immaginavo potesse darmi qualche utile consiglio specifico per la mia vocalità che avrebbe potuto significare chiave di svolta per la mia formazione. Ora mi rendo conto che ognuno di noi ha da imparare da ogni insegnante, così come sono convinto che non ci si possa fermare ad un unico insegnante.
Ogni insegnante ti può far crescere di quel tantino, perché da ogni buon insegnante si possono apprendere consigli utili, ma nessun insegnante ti può portare fino alla fine. Io ho preso qualcosa di positivo da tutti i miei insegnanti.
Quindi ad un certo punto ti sei sentito maturo per iniziare a cantare?
NO! Se uno aspetta di essere maturo… aspetterà in eterno e non inizierà mai a cantare, perché qualche dubbio da sciogliere ci sarà sempre. Il grande scoglio che bisogna riuscire a superare è quello del saper affrontare il pubblico, da soli sul palcoscenico… scoglio che diventa insuperabile per molti cantanti che si sentono perennemente insicuri, salvo diventare magari dei bravissimi coristi. Purtroppo ci sono molti insegnanti che creano nell’allievo la dipendenza nei loro confronti, cosa secondo me di una gravità estrema. Insegnanti che dicono all’allievo, “ora, quando vai a casa fino alla prossima lezione, non cantare più altrimenti rischi di rovinare tutto il lavoro che abbiamo fatto insieme”, o altri consigli simili che non condivido e che portano unicamente a creare nell’allievo la dipendenza verso l’insegnante. Dipendenza che poi ti ritrovi gravemente quando sali le prime volte sul palcoscenico e ti ritrovi completamente solo con la necessità di cavartela senza l’aiuto di nessuno. Ricordo che duranti i miei ultimi periodi di studio un bravissimo tenore comprimario a cui voglio molto bene, mi disse: “ricordati che quando sali sul palcoscenico sei solo e devi essere in grado di superare i momenti di possibile difficoltà…. DA SOLO!”.
L’insegnante ti deve dare le basi tecniche e il cantante deve capire come utilizzarle nel modo più corretto in funzione dell’opera che sta cantando. La tecnica serve molto proprio nei momenti in cui uno non è al meglio delle proprie condizioni fisiche e se è ben consolidata consente di superare più agevolmente le difficoltà.
Ora una domanda che immagino possa interessare i tanti studenti di canto che ci leggono. Come ben saprai molti giovani studenti, tenori, ma anche soprani, mezzi, ecc. hanno il terrore degli acuti. Per te come è andata? Le note acute le hai sempre avute di natura? Hai dovuto lavorare per sistemarle?
Il problema dell’acuto l’hanno avuto quasi tutti in particolar modo soprani e tenori. Sono convinto che questa sorta di psicosi, sia in certa misura addebitabile ad un’errata cultura presente in parte del pubblico che come è noto, se anche il cantante fraseggia bene e canta meglio, nel momento in cui sbaglia l’acuto, è come se avesse sbagliato tutto. Questo a mio avviso è uno degli errori più frequenti commessi da chi va a teatro. A mio modo di vedere il pubblico dovrebbe andare a teatro con la convinzione di vedersi raccontare una storia. Io se vado a vedere, ipotizziamo “Elisir“, devo riuscire a credere di avere di fronte realmente Nemorino, non un tenore che mi canta una furtiva lagrima. Ricordo che durante il famoso Don Carlo scaligero con Pavarotti, assistetti alle recite dal loggione e ancora adesso ricordo che rimasi scandalizzato dalla gente che fra se chiacchierava tranquillamente per zittirsi dieci secondi prima dell’aria per sentire come veniva il si naturale, tacevano prima del duetto per sentire come veniva l’acuto e via di seguito… ti garantisco che se pensassi a queste persone prima di entrare in scena a cantare, mi verrebbe come minimo un po’ di sconforto…. fortunatamente ho anche la convinzione che questa parte di pubblico costituisca una minoranza.
Tornando alla domanda, secondo me ognuno deve seguire l’evoluzione della propria voce. La voce deve essere assecondata, senza forzature. Ricordo che anche al tempo dei miei studi, spesso si valutava positivamente l’insegnante che riusciva a darti gli acuti e credo che sia così anche ora, ma è senz’altro un errore in quanto la minore o maggiore facilità nell’emettere gli acuti è strettamente legata al ritrovamento della tessitura più indicata alla propria voce.
Agli aspiranti cantanti, soprattutto tenori e soprani, consiglio di focalizzare il loro impegno maggiormente su cose ben più importanti dell’acuto, quali la musicalità, il legato e il fraseggio, sono queste le reali caratteristiche che fanno la differenza fra cantanti mediocri e grandi cantanti… poi per quel che concerne gli acuti, bisogna anche dire che la natura ha sicuramente la sua importanza.
Che consiglio ti sentiresti di dare ad un giovane che si sta avvicinando al canto in questo momento per incentivarlo a perseverare? Ma soprattutto, come riuscire a capire se ne vale la pena prima di spendere una fortuna in lezioni private.
Innanzi tutto deve impegnarsi a trovare l’insegnante che con onestà e competenza sappia dirgli se in lui ci possono essere delle potenzialità da sviluppare con lo studio.
Lo studente deve preventivare che lo studio del canto gli richiederà molti sacrifici sia in termini di tempo sia in termini di denaro e deve essere consapevole che comunque non ci saranno certezze per il raggiungimento dell’obiettivo carriera e questi grossi sacrifici non sono limitati al corso di canto ma sono sacrifici che, si protraggono per tutta la carriera. Quando io fui assunto nel coro della Scala mi resi conto dopo un po’ che nella posizione di dipendente non ero libero, per via degli impegni corali, di affrontare le audizioni per tentare di emergere come solista, per cui ad un certo punto presi la decisione durissima di lasciare un posto sicuro, in coro prestigioso, un lavoro comunque interessante per fare un salto nel buio. Mi svincolai dal coro per essere libero di prendere tutti i contatti possibili per farmi conoscere.
In quel periodo il mercato, a livello di piccoli concertini fra i vari circoli lirici era un po’ più florido rispetto ad oggi e quindi riuscivo in questo modo a mantenermi in attesa che qualche teatro mi chiamasse, ma ti assicuro che non fu affatto semplice anche perché ero già sposato con un figlio e con un mutuo da pagare. Anche questi sono sacrifici che se uno parte con l’obbiettivo di recuperare l’investimento fatto con lo studio, deve sicuramente mettere in preventivo. Questo per dire che, come in tutte le forme d’arte, tutto deve essere sostenuto fondamentalmente da una grande passione. Un altro consiglio, più tecnico legato al periodo di studio e che mi sento di dare, è quello di non limitarsi a sostenere la propria lezione ma se possibile, assistere anche allo svolgimento delle lezioni degli altri allievi perché se ne possono trarre indicazioni molto utili. Intuizioni che magari su se stessi non si riescono ad avere.
Alcuni maestri insistono molto sull'importanza del passaggio, ma su questo ci sono molte scuole di pensiero... tu da che parte stai?
Il passaggio secondo me esiste ed è fisiologico e viene superato con la tecnica solo se c’è la consapevolezza di affrontarlo. Ci sono delle voci che “passano” in modo naturale, ma lasciando perdere quelle poche eccezioni è importante aver chiaro cosa fare sul passaggio. Una volta compreso il giusto meccanismo, ci si rendo conto che è molto semplice ma basilare, soprattutto per risolvere le situazioni critiche nei momenti in cui non si sta particolarmente bene. Infatti quando non si è fisicamente in forma, la prima cosa che “salta” è la zona di passaggio.
Quali difficoltà e sacrifici hai dovuto affrontare quando hai deciso di dedicarti al canto e quale fra queste difficoltà non avevi preventivato?
Venendo da un ambiente di lavoro completamente diverso da quello dell’opera, non immaginavo tutta la competizione che vi ho trovato e con la quale mi sono trovato a dover lottare. Alcuni anni fa quando assistevo ad alcuni spettacoli seduto tra il pubblico, pensavo a quanto mi sarebbe piaciuto essere al posto del tenore di turno. Ora ogni volta che mi capita di debuttare in un teatro importante penso a quanti tenori vorrebbero essere sul palco al mio posto in quel momento. L’essere per certi versi, riuscito ad essere li, mi da una soddisfazione enorme e mi ripaga dei tanti sacrifici fatti.
Una cosa che non avevo valutato a dovere, è stato quando, lasciai il coro della Scala per tentare l’avventura da solista. Lasciai un posto stabile, stipendio fisso tutti i mesi e un’attività artistica nel coro più prestigioso del mondo, basandomi unicamente su quelle scritture che inizialmente ti vengono offerte perché rappresenti la novità, il giocattolo nuovo.
Nel momento in cui - nel mio caso dopo i primi due anni - ti accorgi di non essere più considerato il giocattolo nuovo, cominciano le vere difficoltà e diventa necessario tirar fuori quello che realmente si è capaci di fare. Durante quel periodo molto duro, ero già sposato, avevo il mutuo della casa, un bimbo che stava crescendo; confesso che più di una volta ho rimpianto d’aver lasciato il coro della Scala e mi son ritrovato a dirmi “ma chi te lo ha fatto fare…”.
Quando ancora si è poco conosciuti e si ha la sfortuna, una volta di dover annullare delle recite perché si viene colpiti da un’allergia, un’altra volta dalla gastroenterite piuttosto che qualche altra sfortuna… sai, quelle sono cose che quando ci si butta nell’avventura si spera non succedano mai o alle quali magari anche po’ per scaramanzia, non ci si pensa.
Un giovane che vuole iniziare a cantare deve sapere che possono esserci anche questo genere di problemi.
A che anno risale il tuo debutto ufficiale?
La prima esperienza teatrale in assoluto è stata “Ascesa e caduta della città di Mahagonny”opera in 3 atti di Weill rappresentata con il conservatorio di Milano all’Ansaldo, era il 1989 e non ero ancora diplomato. Il debutto ufficiale nell’opera è venuto nel 1990 in Butterfly a Cosenza
Come mai ad un certo punto hai deciso di lasciare l'Italia per andare a cantare all'estero? Più opportunità o più scelta obbligata?
Dopo aver fatto una serie considerevole di recite alla Scala in ruoli primari in opere come Boheme, Traviata, ecc, ho operato delle scelte “sbagliate” accettando piccole parti come ad es. “lo sposino” in Lucia o Edmondo nella Manon Lescaut, fondamentalmente perché lo chiedeva Muti e quindi era difficile rifiutare. Da li a poco le persone che mi seguivano iniziarono a dirmi “ma tu con quella voce lì canti quelle particine?”, quindi mi sono accorto che mi stavano etichettando in un certo modo, alcuni teatri si erano convinti che mi fossi indirizzato sui piccoli ruoli o addirittura che facessi parte dell’organico stabile della Scala.
A quel punto ho dovuto impugnare la situazione iniziando a contattare direttamente i grandi direttori stranieri impegnati nei più importanti teatri d’Europa e fortunatamente le prime esperienze europee andarono bene. Dopo aver cantato a Karlsruhe dove debuttai Macbeth, Edgardo in Lucia e Foresto nell’Attila, mi chiamarono a Dresda, Francoforte, Berlino. Poi, grazie al passaparola fra teatri, mi chiamarono a Parigi, Pappano a Bruxelles per Macbeth ed anche qui andò molto bene… queste esperienze mi hanno aiutato a creare una certa risonanza internazionale che mi ha fatto debuttare in quasi tutti i più grandi teatri. Nello stesso periodo ebbi dei contatti con alcuni direttori artistici italiani che mi lasciarono piuttosto perplesso. Uno, senza fare nomi, mi disse “ah, bella voce, ma le consiglio di cantare Puccini perché Verdi rovina la voce”, un altro mi disse “bravissimo, ma io per chiamarla ho bisogno che prima vada a cantare un po’ all’estero… dopo potrò chiamarla” e a quest’ultimo episodio ancora adesso ogni tanto ci penso e non capisco cosa volesse dire.
Ora per esperienza, rtengo che all’estero se uno fa bene, la voce circola più facilmente fra i teatri, mentre quello che si fa in Italia rimanga fondamentalmente in Italia. Ricordo di aver letto da qualche parte questa dichiarazione di Muti che trovo particolarmente azzeccata: “in Italia si vive per la storia dell’opera mentre oggi come oggi la storia dell’opera la si fa all’estero”
Vocalmente parlando come ti consideri? Lirico puro, lirico spinto?
Ritengo d’essere un lirico puro con accenti eroici quindi con ampie possibilità anche nel repertorio spinto, tant’è vero che mi stanno arrivando diverse offerte che per il momento tengo alla porta perché non mi sento pronto ad affrontarle; opere come Turandot, Andrea Chenier, Manon Lescaut, ecc.
In merito alla classificazione vocale bisogna anche sottolineare che le cose nel corso degli ultimi quaranta cinquant’anni, sono cambiate molto. Durante i miei primi anni di carriera incontrai il grande Gianni Raimondi che era un tenore lirico piuttosto pieno, mi disse: “vedi Marco, io ho avuto in repertorio fra le tante opere, anche il Don Pasquale ma all’epoca i direttori tagliavano spesso la cabaletta, invertivano la parte nel duetto Tornami a dir che m’ami e facevano un po’ quel che volevano sulla partitura ma se avessi dovuto cantare il Don Pasquale così come lo fanno oggi, non avrei potuto”. Questo per dire che oggi il repertorio del tenore considerato vocalmente “lirico puro” sarebbe più limitato rispetto ad alcuni anni fa.
Invece dal punto di vista temperamentale? Preferisci i ruoli d'amoroso o quelli più drammatici?
Il mio temperamento è quello tipico latino-mediterraneo e questo mi fa prediligere i ruoli ed i passaggi infuocati, quali ad esempio la scena dell’invettiva della Lucia. Ritengo Werther una bellissima opera ma come ruolo lo sopporto meno di altri; è un’opera che farei esclusivamente per l’ultimo atto in quanto trovo che nel complesso, pianga troppo. A Werther preferisco sicuramente Des Grieux della Manon di Massenet che dal momento in cui si toglie la veste da al tenore temperamentoso una soddisfazione incredibile.
In questo momento quale fra i grandi autori ritieni più adatto alle tue corde?
Se avessi avuto una voce un po’ più leggera mi sarebbe piaciuto molto cantare Mozart, che è un autore che insegna molto ed aiuta a creare quel grandissimo bagaglio tecnico che poi risulta molto utile anche per affrontare in sicurezza tutti gli altri autori. In questo momento l’autore che ritengo più adatto alla mia voce e nel contempo è anche quello che in generale mi da maggiori soddisfazioni è Verdi. Per vari motivi, quali il rigore che devo mettere nello studio dello spartito, per dare il giusto fraseggio, il giusto colore e trovare lo stile più appropriato. Mi piace molto scavare nello spartito e fare quel tipo di lavoro essenziale per approfondire musicalmente l’opera. Adoro sviscerare la conoscenza del personaggio ma sempre attraverso l’approfondimento musicale dello spartito.
Quale ruolo ritieni più complesso?
Dal punto di vista musicale è molto complesso Manrico, ruolo che debutterò l’anno prossimo al Covent Garden. Qualcuno dirà che è un azzardo, qualcun altro dirà che sono vocalmente adatto. Mah! Vai a capire chi ha ragione (risata). La difficoltà più grossa credo stia nel non farsi prendere dall’impeto eroico di molti passaggi musicali correndo il rischio di farsi portare sui vecchi canoni del tenore che ingrossa. Il mio riferimento in questo ruolo è Jussi Bjorling.
Con quale metodo ti approcci ad un nuovo personaggio e cosa fai per meglio comprenderne la psicologia al fine di renderlo meglio dal punto di vista interpretativo?
Come ho detto in precedenza, soprattutto attraverso lo spartito e quindi con l’approfondimento musicale. La parte negativa nella creazione del personaggio è quando te lo sei preparato a lungo, ti sei fatto una tua fondata idea interpretativa, vai in teatro per le prove, ti si avvicina il regista e ti stravolge tutto in un minuto. Ti faccio un esempio: ti prepari ad interpretare Rodolfo avendo in testa l’immagine di Mimì quale fanciulla dolce, innocente e indifesa, ed il regista ti dice “guarda che Mimì è tutt’altro che innocente perché non aspetta altro che gli amici di Rodolfo se ne vadano per portarsi a letto il bel poeta”. Capisci che di fronte ad un’affermazione del genere c’è quantomeno da discuterne perché per riuscire ad ottenere l’effetto che ti viene richiesto devi avere un minimo di convinzione… e non sempre è facile.
Quale fra i ruoli presenti oggi nel tuo repertorio, preferisci e qual'è il ruolo che ti piacerebbe riuscire ad affrontare in futuro
Un ruolo molto complesso ma che io amo più di tutti è Riccardo del Ballo in Maschera. Nella parte di Riccardo c’è davvero tutto quello che un tenore possa sperare di cantare.
Magari potrà essere l’ultima opera che canterò in carriera, ma prima di ritirarmi mi piacerebbe riuscire ad arrivare a Manon Lescaut, è un’opera che adoro e, quando sarà il momento giusto, vorrei provare a cantare. Mi hanno anche offerto Andrea Chenier, per ora l’ho rifiutato, ma tra dieci anni perché no.
Il raggiungimento del successo professionale ha cambiato un po' Marco Berti e la sua vita?
Ha cambiato soprattutto la vita della mia famiglia. La famiglia è quella che ci rimette maggiormente in quanto sono spesso lontano da casa. Cerchiamo di sfruttare al massimo le possibilità che ci vengono offerte da ponti festivi e vacanze scolastiche per stare insieme, ma mi manca la quotidianità della famiglia. Tra poco inizierò a cantare Carmen all’Arena ed a Verona staremo tutti insieme, io mia moglie ed i miei bimbi, però quando si canta a certi livelli bisogna anche avere un certo riguardo per quel che si fa durante la giornata. Non è possibile stare in giro tutto il giorno, stancarsi e poi andare a cantare alla sera. Dormire molto fa sicuramente bene, in quanto più dormi e meno parli… meno parli più la voce ci guadagna. La sera prima della recita non mangio.
Dei grandi tenori del passato qual'è il tuo preferito ed eventualmente il tuo riferimento?
Non mi sono mai schierato per uno in particolare. Ognuno ha la sua peculiarità, di Kraus ho ammirato tantissimo la tecnica, di Pavarotti ho ammirato la vocalità e di Domingo penso che sia l’artista per eccellenza. Oggi giorno un cantante deve essere prima di tutto attore e per fare una carriera questo è da tenere ben presente. Negli ultimi anni i registi non si fanno scrupoli nel dire “no, è troppo basso”, “no, è troppo grasso”.
Quali saranno i tuoi impegni futuri? Hai qualche novità da dare in anteprima agli amici di OperaClick?
Debutto a settembre Tosca a Cipro con i complessi dell’Arena di Verona, poi farò Ballo in Maschera a Novembre ad Ancona e debutterò al Metropolitan con Butterfly. Nel 2004 ho in programma Aida a Bruxelles e il debutto di Trovatore al Covent Garden, nel 2005 Gioconda a Trieste e Tosca a Napoli, nel 2007 Cavalleria a Madrid.
Che differenze hai colto tra i pubblici stranieri e quelli italiani.
(risata)…bella domanda! Quello che penso sinceramente è che il pubblico straniero sia più preparato dal punto di vista musicale e dal punto di vista complessivo dell’opera che va a sentire, difficilmente va a vedere un’opera senza conoscerla a fondo. Il pubblico italiano è molto più melomane.
Qual è stato il consiglio più giusto che hai ricevuto e quello più sbagliato
Il consiglio più giusto me lo ha dato Sergio Bertocchi il quale mi disse: “ricordati che indipendentemente dalla bravura del tuo maestro, sul palcoscenico sarai da solo quindi attrezzati per avere i nervi saldi e per saper bene quello che devi fare quando sarai li… da solo!”
Consigli sbagliati ne ho avuti tanti e fare una classifica è difficile. Fortunatamente, aldilà dei consigli ho sempre cercato di sbagliare con la mia testa così da poter imparare sempre qualcosa dagli errori commessi.
Una cosa che recrimino un po’ a me stesso è l’aver debuttato subito in grandi teatri e all’epoca quando il mio agente mi diceva “sai ci sarebbe l’opportunità di fare questa cosa alla Scala” io avevo 25 anni e nessun giovane di quell’età ha la testa sulle spalle e i nervi saldi per affrontare serenamente - come potrei farlo ora quarantenne - una situazione del genere.
Una cosa che mi piacerebbe dire ai giovani che si avvicinano ora alla carriera è proprio questo: “ricordatevi che c’è tempo per fare tutto, con i dovuti modi a tempo debito. Iniziare a cantare nei piccoli teatri da comunque quella scarica di adrenalina fortissima, quella tensione che si può provare in teatri maggiori, ma se capita di sbagliare la cassa di risonanza sarà minore o addirittura nulla e questo è un grosso vantaggio perché comunque ci sarà la possibilità di rifarsi. Se un giovane sbaglia in un grande teatro, rischia di pagarla molto cara se non addirittura d’essere tagliato fuori.”
Cosa pensi di internet come mezzo di divulgazione per l'opera lirica e nello specifico di un'iniziativa come quella di OperaClick? Secondo te può considerarsi una valida alternativa alla carta stampata?
Secondo me l’importante è l’obiettività di quello che viene scritto.
Sicuramente a breve, per ovvie ragioni il mezzo telematico soppianterà molte riviste cartacee, delle quali un gran numero sono chiaramente “di parte” con alcuni, e “antipatiche” con altri.
La cosa interessante di un’iniziativa come OperaClick è la possibilità d’avere il riscontro sincero, diretto ed immediato del pubblico. E’ molto importante che in un forum come il vostro la gente possa permettersi di criticare le recensioni pubblicate, magari dicendo “io non sono assolutamente d’accordo”, cosa questa che generalmente in una rivista tradizionale è possibile solo a livello teorico, scrivendo la classica “lettera al direttore”…. lettera che puntualmente viene cestinata.
Quando sei in giro per lavoro hai qualche hobby particolare che ti aiuta a passare il tempo?
I primi anni di carriera mi divertivo a fare il turista andando in giro con la macchina fotografica, ora mi sono stancato. Quando mi fermo per molti giorni nelle varie città, mi cerco subito un pianista per andare a studiare per non rimanere mai fermo. Spesso mi trovo con alcuni miei colleghi in quanto molti di loro sono diventati amici. Mi piacerebbe praticare qualche sport per esempio la barca a vela, ma vento e acqua non vanno d’accordo con la mia professione. Per lo stesso motivo devo rinunciare alla moto.
Mi diverte seguire in televisione motociclismo e automobilismo mentre non m’interessa per nulla il calcio.
A Marco Berti un sincero grazie ed un grosso "in bocca al lupo"
Danilo Boaretto